Fondazione De Mari: con i giovani per rileggere il territorio

Fondazione De Mari: con i giovani per rileggere il territorio

Tra i sostenitori del percorso YEPP in Liguria c’è la Fondazione Agostino De Mari (Fondazione di Origine Bancaria che agisce sul territorio della provincia di Savona) che dal 2012 attraverso i bandi annuali co-finanzia le attività progettate dai giovani di YEPP Albenga e YEPP Loano.

Ben radicata sul territorio provinciale, la Fondazione De Mari pone particolare attenzione al mondo dei giovani e dei minori, sostenendo progetti per il contrasto alla dispersione scolastica e attività laboratoriali artistiche che offrono opportunità di apprendimento, di inclusione ed emersione di talenti.  Abbiamo incontrato la direttrice della fondazione, la dott.ssa Anna Cossetta, per raccogliere utili stimoli sul tema della cittadinanza attiva dei giovani nella provincia ed in particolare nel ponente savonese.

«I giovani che vivono in provincia di Savona - spiega Anna Cossetta - sono molto pochi e sono sempre meno, e credo che questo sia il dato principale da cui si debba partire. Chiaramente il numero non è soltanto una quantità ma è anche una possibilità di relazione, di vivere insieme. Cosa che è importantissima per tutti, ma a maggior ragione lo è per i giovani. Il tema degli spazi dove costruire socialità e cittadinanza attiva deve tener conto anche di questo fattore. Riporto un dato: i ragazzi nati nel 2004 in provincia di Savona sono stati 2300, i nati l'anno scorso sono stati mille in meno, quasi la metà. Dobbiamo programmare delle azioni che tengano conto di questo aspetto. Quindi anche gli spazi che immaginavamo una volta, i centri giovani e tutte queste realtà, devono essere completamente ripensati».
«C'è anche il tema di prossimità territoriale - prosegue Cossetta - Siamo abituati a ragionare a livello comunale ma in realtà dovremmo pensare a una dimensione comprensoriale perché i nostri giovani, proprio perché sono pochi, devono necessariamente relazionarsi in un'area molto più vasta. E soprattutto nel ponente, dove i Comuni sono mediamente piccoli e le scuole sono dislocate in Comuni differenti da quelli di residenza, bisogna attivare una logica comprensoriale. Quindi gli spazi e le possibilità di costruire relazioni di cittadinanza subiscono cambiamenti importanti che hanno radici in tempi abbastanza recenti, come dicevo tra il 2004 e il 2022 questo fenomeno demografico è diventato rilevantissimo. Senza dimenticare il tema della presenza di giovani stranieri sul nostro territorio. Quando i nati erano 2300 la percentuale degli stranieri era del tutto simile a quella della popolazione, cioè circa l'8%, se guardiamo invece ai bambini che hanno tra gli zero e i sei anni la percentuale supera il 20% e non perché sono cresciuti gli stranieri ma perché gli italiani hanno un tasso di natalità sempre più basso. Ci troviamo in una fase demografica nodale che impone a tutti di fare dei ragionamenti completamente diversi in merito alle politiche sociali ma anche a quelle dell'istruzione. Come Fondazione di origine bancaria noi parliamo di comunità educanti. È un termine per certi versi molto bello ma che è tutto da costruire perché significa superare i confini delle municipalità, significa non considerare l'istruzione solo qualcosa che deve attenere ai compiti delle scuole ma è un lavoro di corresponsabilità che dobbiamo fare un po' tutti. Gli spazi di socialità devono derivare da un ragionamento molto più ampio e molto più condiviso di quanto non fosse fino a un po' di tempo fa».

I giovani sono presenti nelle organizzazioni di volontariato?
«Le organizzazioni di volontariato devono far parte di questa comunità educante, ne sono uno dei pilastri fondamentali ma è chiaro che anche loro stanno vivendo una fase di cambiamento. Le grandi organizzazioni di volontariato in Italia sono nate negli anni '70, con basi in qualche caso ideologiche, fortemente connotate o per motivi di appartenenza religiosa o politica. Le cose sono molto cambiate e adesso sono in una situazione di trasformazione. I giovani non sempre riescono a sentirsi inclusi in questo tipo di organizzazioni perché la partecipazione richiesta è forse un po' troppo impegnativa o forse lontano da quelli che sono i loro interessi. È vero però che i giovani hanno voglia di partecipare, tirare su la testa e dire la loro rispetto a un mondo nel quale sono davvero una minoranza. Quindi credo che le organizzazioni di volontariato, se saranno in grado di trasformarsi ed essere aperte a includere dei giovani, potranno svolgere un ruolo essenziale».

Di cosa hanno bisogno i giovani per poter esercitare la cittadinanza attiva?
«Non lo so, bisognerebbe chiederlo a loro. Credo che il lavoro che sta portando avanti YEPP sia molto interessante anche per questo motivo, per il coinvolgimento diretto dei giovani. Sono loro che devono dirci che cosa sono disponibili a fare e su che cosa vogliono impegnarsi, in qualche modo devono sollecitare la nostra attenzione. Credo che sia importante da parte nostra metterci in ascolto e capire come i giovani vedono il nostro territorio e il nostro mondo e sulla base di questo costruire delle politiche. Non me la sentirei di dire cosa devono fare, penso sia molto bello quello che YEPP sta portando avanti, che è appunto questa fase di ascolto».

Che cosa ostacola la loro partecipazione alla vita sociale del territorio?
«Devo dire che in questi ultimi anni, da quando lavoro in Fondazione, il mio punto di vista è un po' cambiato. Prima facevo la sociologa e sulla base delle ricerche e delle analisi approcciavo il tema da un punto di vista scientifico. Adesso, naturalmente mi è rimasto lo schema di vent'anni di lavoro precedente, ma devo dire che mi accorgo di una serie di aspetti più qualitativi e meno scientificamente fondati ma che sono interessanti. E mi riferisco ad esempio alla possibilità di lavoro che ci sono nella vita più dinamica e attiva della nostra provincia. Abbiamo un po' questa idea che il nostro territorio sia sonnacchioso e respingente nei confronti dei giovani, in realtà ci sono tantissime opportunità anche molto belle. Faccio un esempio, la Fondazione De Mari è proprietaria dell'antico palazzo del Monte di Pietà che è stato ristrutturato e in cui è stato realizzato un museo della ceramica. Circa due anni fa, poi concretamente nel 2022, abbiamo fatto una piccola rivoluzione e abbiamo affidato la gestione del museo a un gruppo di giovani. Su sei persone quattro hanno meno di 30 anni. E proprio grazie alla loro capacità oggi avrebbero bisogno di inserire altri giovani nelle attività di laboratorio e di didattica. È solo un piccolo esempio. Quando lo si racconta ai giovani notiamo dello stupore, come se non fosse possibile. C'è sicuramente una incapacità da parte nostra di comunicare tutte quelle che sono le opportunità. È come se le nostre generazioni volessero tenere per sé le capacità e la conoscenza e in concreto non siamo aperti all'inclusione. Questo aspetto, da una parte, mi fa essere molto ottimista nei confronti del futuro perché per questi pochi giovani ci saranno molte opportunità, dall'altro mi dispiace che generazioni come la nostra, che hanno fatto della solidarietà e del volontariato una bandiera, non si dimostrino inclusivi nei confronti dei giovani».

Cosa possono fare i giovani per questo territorio?
«Possono fare tantissimo e ne abbiamo tanto bisogno, dobbiamo fare in modo che giovani da altri territori vengano qui. Dovremo lavorare tantissimo per sfruttare le opportunità di programmi europei come Erasmus, dovremo fare in modo che questo territorio venga sempre più vissuto dai giovani e secondo me anche solo la loro presenza cambierebbe le cose. Inevitabilmente la presenza dei giovani farebbe scoprire tantissimi aspetti veramente belli che noi abbiamo e da lì si potrebbero creare nuovi modi di leggere il nostro territorio, nuove possibilità di viverlo in un modo diverso da come lo abbiamo fatto noi. In questa fase chi appartiene alle istituzioni pubbliche o come la nostra dovrebbe convergere verso obiettivi comuni che portino i giovani non solo a partecipare ma a poter incidere e trasformare la visione stessa anche identitaria che noi abbiamo del nostro territorio. E soprattutto portare qui altri giovani, invertire la tendenza che vede i nostri ragazzi andare altrove perché sembra che da noi le opportunità non ci siano. Non è vero, le opportunità ci sono, ce ne sono tante e anche molto belle però c'è anche bisogno di un cambio di narrazione e loro devono aiutarci in qualche modo a lavorare in questo senso».

Quali sono gli elementi di valore che vede nel percorso YEPP?
«Gli elementi sono tantissimi, in primis il metodo. L'aver importato una metodologia chiara, riconoscibile e sostenibile perché si tratta di strumenti che si possono applicare e danno dei risultati interessanti. E questo prevede, un po' quello che dicevo prima, la capacità di mettersi in ascolto dei giovani e di trovare delle strade e delle soluzioni per rispondere in modo pratico ai loro bisogni. Bisogni che in qualche modo i giovani hanno espresso e che YEPP ha tradotto in un linguaggio più vicino a quello delle istituzioni. L'altro elemento è quello di essere una rete nazionale e internazionale che permette scambi di esperienze e che questa energia fluisca da luoghi diversi. Si parte dalla dimensione locale per arrivare a livelli più ampi, addirittura europei, che poi è il mondo nel quale i nostri giovani vivono. La cittadinanza deve essere ampia, più grande possibile e anche su questo YEPP ha una visione».