Competenze e responsabilità: che cosa stimola la partecipazione di noi giovani

Competenze e responsabilità: che cosa stimola la partecipazione di noi giovani

Anna e Alda, due ragazze attive nel sociale, sono la componente che YEPP Italia ha fortemente voluto nel gruppo di pensiero creato per sviluppare la ricerca sui giovani e la loro partecipazione.

Alda Noka, 24 anni, una laurea in scienze politiche e sociali e due lavori part time, è da sempre molto impegnata nel suo quartiere torinese, Barriera di Milano, tra volontariato e Servizio Civile. Ha conosciuto la Fondazione Compagnia di San Paolo coordinando un programma di podcast nell’ambito del progetto “Berrai Barriera”, selezionato dal bando GxG e fa parte dello Youth Board della Fondazione.

Mi interessa molto questo tema - dice rispetto all’oggetto della ricerca -. Questi lunghi anni di esperienza nel sociale, nonostante la mia giovane età, dopo la meraviglia del fermento iniziale, mi hanno portata ad essere più consapevole delle falle del sistema. Quando mi hanno parlato della ricerca ho capito che potevo portare la mia esperienza: ho visto cose molto belle e altre che non mi sono piaciute affatto nel Terzo Settore. Ho cercato di staccarmi da questa prospettiva personale per portare pensieri utili in una ricerca di stampo sociale”.

Anna Francesca Testani, 27 anni, è arrivata dal Venezuela a 11 anni e oggi è attiva a Torino, dove si è laureata in mediazione linguistica e culturale, e fa parte del gruppo YEPP Porta Palazzo. Da fuoricorso continua a studiare per inseguire la sua passione per la traduzione ed è impegnata nel Servizio Civile con l’Associazione Almaterra che si occupa dei bisogni delle donne migranti tramite diversi sportelli (mediazione, assistenza psicologica, legale). 

“L’intrecciarsi del mio impegno in YEPP Porta Palazzo e la collaborazione con la Cooperativa Labins hanno favorito questa mia partecipazione di cui sono molto entusiasta. Trovo che l’oggetto della ricerca sia un tema caldo tra le persone che conosco e frequento nel sociale, sia quelle della mia età sia quelle più giovani. Conosco persone che si sono sempre considerate attive, ma non hanno potuto proseguire il loro percorso per la necessità di avere una stabilità economica, ad esempio. La mia generazione spesso ha difficoltà a trovare sicurezze e ci si trova a fare scelte che portano a sacrificare questo aspetto. O al contrario, chi trova nel sociale la sua strada lavorativa a volte non riesce a mantenere l’impegno nel volontariato. Ci troviamo spesso a fare scelte lavorative legate a cosa ci piace, ma diventa difficile trasformarlo in un lavoro se vuoi farlo nel sociale oppure portare avanti un impegno sociale e contemporaneamente avere anche un lavoro”.

La mia partecipazione e quella di Anna al gruppo - prosegue Alda - è necessaria, naturale visto che siamo rappresentanti della categoria su cui insiste la ricerca. Apprezzo questo progetto e il fatto che ci abbiano coinvolte. Apprezzo anche l’opportunità di mettere in pratica cose che ho studiato all’università: credo sia un prolungamento interessante dei miei studi sulle tecniche di ricerca. Credo che siamo accompagnate da persone molto competenti e sensibili, anche rispetto al nostro contributo di pensiero. Ho visto in questo gruppo adulti molto comprensivi, hanno un puro interesse a capirci, senza pregiudizi. Questo atteggiamento mi ispira molto anche perché non si vede molto spesso, non ci sono spesso spazi di ascolto, in cui è l’adulto che viene a chiedere al giovane cosa pensa di qualcosa”.

Entrambe sono molto precise nel tracciare quali siano le opportunità e gli ostacoli che trovano sul fronte della partecipazione (civile e lavorativa) in quel Terzo Settore che spesso promette, scommette, si dichiara “dalla parte dei giovani”.

“Di positivo c’è che non hai fili rossi prestabiliti - dice Alda - Hai una sensazione di libertà, di poter fare tutto, che ti galvanizza. Entrare in realtà che ti fanno conoscere contesti nuovi, ti danno competenze nuove, anche se sei un volontario, sono aspetti importanti per un giovane. Un’altra cosa positiva è che quando inizi in questi contesti hai l’idea di dare una mano e ti fanno sentire utile, ti danno la sensazione di fare qualcosa di importante. Gli aspetti negativi che ho visto - continua Alda - è che nonostante tutti sentano i giovani come necessari poi però non li fanno arrivare a ruoli di responsabilità o se ci arrivano non li aiutano ad affrontarli, ad elaborare il carico. Non ho trovato situazioni intermedie: non ti fanno partecipare oppure non c’è un accompagnamento da parte degli adulti perché sembrano non avere il tempo di “starti dietro” in modo costante”.

Così come per Alda, anche per Anna una precondizione fondamentale per stimolare la partecipazione è avere una stabilità, una sicurezza che possa permettere di andare al di là di sé e delle proprie difficoltà personali e quotidiane.

“C’è anche chi è molto arrabbiato per questa situazione - spiega Anna - e decide di impegnarsi proprio per questo motivo. Poi ci sono anche fattori molto personali. Io mi sono avvicinata al volontariato perché faccio parte della cosiddetta “seconda generazione”. Ho riconosciuto nella situazione di tante altre persone cose che avevo vissuto e questo mi ha motivata a partecipare. Il fattore personale gioca molto nella motivazione a impegnarsi. Se penso ai più giovani, a chi va ancora a scuola, in quel caso spesso, senza generalizzare, lo studente medio viene da un contesto privilegiato, vive in una propria bolla, come se il mondo della scuola e il mondo esterno fossero staccati, perciò è difficile che si impegni". 

Per favorire la partecipazione dei giovani, secondo entrambe le ragazze, occorre dare loro dei ruoli di responsabilità, creare percorsi di partecipazione reali, capaci di offrire competenze, una formazione ricca di strumenti, anche professionalizzanti. Più che essere “guidati” ad affrontare delle sfide, Alda e Anna sottolineano come la richiesta dei giovani sia invece quella di essere accompagnati ad affrontarle, accogliendo da parte degli adulti la loro richiesta a “farsi da parte”, a “lasciare spazi reali”.

“Una parte di me è molto curiosa di vedere i risultati della ricerca - dice Anna -. Sono anche entusiasta di potermi confrontare con altri su queste tematiche, di imparare, di confrontarmi con persone di età diverse dalla mia: è un aspetto che può dare al gruppo molti spunti diversi. Se non avessero deciso di coinvolgerci sarebbe stato il solito studio dall’alto verso il basso, con una prospettiva esterna. Trovo questi adulti molto propositivi, si pongono in una posizione di ascolto nei nostri confronti come è giusto che sia. È bello in un certo senso essere messi “alla pari” nonostante le differenze ovvie di età ed esperienza”.

Vedremo, raccontando i primi risultati della ricerca se verranno confermate o meno le analisi di Alda, che così definisce le forme attuali di partecipazione dei giovani alla società: “Ci stiamo spogliando, come generazione, purtroppo, di tutto ciò che è politico, non partitico. I giovani si allontanano dalla politica, dalle istituzioni ... quando parlo con chi fa parte di movimenti, come quelli per l’ambiente, non danno un senso politico alla loro attività. Bisogna aiutare i giovani a rinnovare questo concetto. Bisogna studiare! Dare parole ai propri pensieri, altrimenti finisce tutto in un calderone senza impatto. Capire per cosa si combatte, come farlo ... c’è tanto dibattito, anche troppo secondo me sui social. Non possono essere Instagram o Facebook la nostra agorà. Se l’unico luogo dove fare politica sono i social, allora è una battaglia persa. È bello vedere i giovani che si attivano, ma una struttura serve. Senza un’organizzazione, senza costanza, non si ottengono dei cambiamenti. Va bene protestare, ad esempio, ma senza riflessione, senza applicare l’attivismo alle nostre vite quotidiane, se non ne parliamo incontrandoci di persona, non serve. Anche la riflessione rispetto ad un obiettivo, ad una battaglia, è utile”.