
Giovedì 10 aprile 2025, ore 14.30
POLO DEL ‘900, Palazzo San Daniele – via del Carmine 14, Torino
Una interpretazione diffusa ritiene che i giovani non siano più interessati alla partecipazione, vivano ripiegati in una dimensione individuale e individualistica che esclude ciò che esula dalla sfera della loro vita immediata.
Ma è proprio così? La partecipazione giovanile è lettera morta, oppure occorre cambiare gli occhiali con cui il mondo adulto la osserva? C’è forse un cambiamento in atto che ha modificato il senso e i significati del termine stesso “partecipazione”, e lo sta traducendo in pratica in modalità e forme nuove?
La ricerca Tu sei una persona che partecipa? realizzata dall’associazione YEPP Italia con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo ha tentato di trovare alcune risposte a queste domande, per poter ripensare e rimodellare proposte, percorsi, luoghi, e condizioni della partecipazione giovanile, in modo da facilitare la presenza attiva dei giovani nelle organizzazioni e sui territori, lievito necessario alla vita delle società democratiche.
I risultati saranno presentati giovedì 10 aprile 2025, a Torino, a partire dalle ore 14.30, nell’Auditorium del Polo del ‘900, presso Palazzo San Daniele (via del Carmine 14).
La ricerca
La ricerca ha voluto ridisegnare il concetto di partecipazione a partire dallo sguardo, dal pensiero e dalle attribuzioni di senso dei giovani tra i 15 e i 25 anni. Si è partiti dall’ascolto approfondito di 21 organizzazioni giovanili e di 10 esperti, ed è stato somministrato un questionario a un campione di 2.158 giovani tra i 15 e i 25 anni, residenti in tutte le province del Piemonte e della Liguria. Il 55% del campione si è definito femmina, il 41% maschio, il 4% non binario. Il 95% degli intervistati è nato in Italia, ma il 16% proviene da una famiglia di origine non italiana.
I risultati della ricerca raccontano che la partecipazione non è un tema lontano dai giovani né privo di interesse. Il 90% delle/gli intervistate/i si definisce come una persona che partecipa; in maggior dettaglio: il 25% risponde decisamente “sì” alla domanda “Tu sei una persona che partecipa?”, il 65% dice “ci provo”, mentre solo il 10% risponde “no”.
Più di metà del campione (il 52%) partecipava al momento dell’intervista, o aveva fatto parte in precedenza, di un’associazione, un gruppo, un movimento.
I dati analizzati fotografano un’idea sorprendente e non scontata di partecipazione, un caleidoscopio che comprende attività e comportamenti tra loro, almeno apparentemente, molto distanti e disomogenei. Infatti, la quasi totalità delle/gli intervistate/i indica come indubbie espressioni di partecipazione, fare volontariato, frequentare un gruppo o un’associazione, andare a manifestazioni. Nello stesso tempo, quasi l’80% dice che è partecipazione stare con i propri amici. Per il 76% fare politica è partecipare, ma lo è con identica percentuale anche stare con la famiglia. Informarsi rientra (83%) tra le modalità di partecipazione più rilevanti. Fare sport rientra a pieno titolo tra le attività definite come partecipazione, in quanto viene indicato dal 70% del campione. L’idea che emerge disegna un continuum tra dimensione personale e dimensione sociale, che non si escludono a vicenda. Ne esce un’idea di partecipazione quasi letterale, come un essere parte / fare parte che collega il soggetto a tutto ciò che è fuori di lei/lui. La soggettività come perno e punto di partenza per andare oltre, per “essere parte” entrando in relazione.
Quali fattori possono facilitare la scelta di partecipare? La famiglia svolge un ruolo molto importante: una casa dove si parla spesso di temi sociali, civili, culturali, genitori che offrono un esempio di partecipazione e di attivazione sono le due risposte più frequenti, subito dopo la consapevolezza dei problemi della società, che è l’opzione di risposta più gettonata.
All’opposto l’idea che partecipare sia inutile, che non si possa cambiare nulla, e la mancanza di tempo, sono i due fattori che, secondo il campione, allontanano maggiormente i giovani dalla partecipazione.
Chi sceglie di far parte di un’organizzazione, afferma che in questa esperienza è importante soprattutto “stare bene con gli altri” e “sentirsi parte del gruppo”, ma anche “sentirsi utili, aiutare” e “cercare di cambiare le cose”; non trascurabile, il fatto che l’attività nell’organizzazione sia “divertente”. La partecipazione è un’opportunità per far accadere delle cose per sé, ma anche per il mondo, nella dimensione da moltissimi sottolineata della crescita personale. E’ una ricerca, o a volte solo un desiderio, di esperienze significative per poter dire – come testimonia il 90% delle risposte alla relativa domanda – “credo che quello che facciamo sia importante”.
Una ricerca sulla partecipazione giovanile, e sulla difficoltà di capire come stia cambiando, non può non coinvolgere la responsabilità degli adulti. La ricerca non propone ricette metodologiche o modelli “che funzionano”, ma chiama in campo una prospettiva di pensiero e di azione intergenerazionale che consenta di ripensare insieme il vivere come persone e come cittadini. Intergenerazionalità come scambio non giudicante tra pari diversi, dunque scambio essenzialmente e sostanzialmente democratico, dove ciascuno vale uno e si percorre un apprendimento reciproco.
Questa prospettiva richiede al mondo adulto di mettersi in gioco, attuando riposizionamenti e cambiamenti nelle organizzazioni e nelle istituzioni, cedendo potere, accogliendo e lasciando spazio anche alle forme di attivazione dal basso, e al conflitto nella sua valenza costruttiva e trasformativa.
La ricerca è stata condotta da un gruppo di lavoro interdisciplinare e intergenerazionale (dai 25 ai 60 anni) formato da: Angela Lostia e Ortensia Romano (YEPP Italia APS), Michele Gagliardo e Kristian Caiazza (esperti di politiche giovanili), Paolo Putti (responsabile giovani Cooperativa Agorà), Alda Noka (cooperazione internazionale), Anna Testani (mediatrice culturale).
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